A pochi giorni di distanza dal Giorno della Memoria, eccomi ancora a parlare di un libro che tratta proprio della Shoah. L'ho trovato in una vetrina dedicata proprio al 27 gennaio, l'ho comprato come premio per le mie fatiche universitarie, l'ho divorato in un paio di giorni ed ho pianto. Ed ora, visto che lo ha meritato, lo recensisco: "Il piccolo burattinaio di Varsavia", romanzo storico di Eva Weaver.
Trama:
" Mika ha dodici anni quando il cappotto viene cucito. Nathan il sarto lo confeziona per suo nonno nella prima settimana di marzo del 1938. L'ultimo anno di libertà per Varsavia, l'ultimo anno di libertà per Mika e la sua famiglia. E quando il nonno muore, rimane per Mika l'unica eredità in grado di proteggerlo dal gelo e dalla paura. All'apparenza si tratta di un cappotto qualunque, non fosse per le sue tasche che nascondono altre tasche, pertugi e vicoli ciechi. Una ragnatela di luoghi invisibili in cui far sparire i segreti più preziosi, a partire da un intero teatro di burattini di cartapesta dai colori vivaci. Quale migliore sorpresa per distrarre il cugino malato e i vicini, stipati in una stanza mal ridotta, di uno spettacolo di burattini? In poco tempo tutto il ghetto parla del piccolo burattinaio che gira di casa in casa strappando sorrisi anche ai più infelici. La notizia giunge fino ai soldati tedeschi. Fino a Max, un ufficiale che rimane talmente affascinato dal piccolo inventafavole da trascinarlo in un patto terrificante: ogni sera Mika potrà uscire dal ghetto senza incontrare ostacoli, a patto però di recarsi di filato alla caserma delle SS e allestire per loro il teatro di burattini. Se saprà incantarli con le sue storie potrà ritornare ogni notte dalla sua famiglia, altrimenti...
Un libro che racconta il cuore fragile della tragedia, la perdita dell'innocenza di un bambino e la sua inesauribile capacità di sognare di nuovo."
Dopo l'invasione tedesca della Polonia, gli ebrei di Varsavia furono rinchiusi in un ghetto appena costruito e costretti a sopportare disagi terribili, fame e malattie, in un crescendo di sofferenza che si concluse con la deportazione, con la distruzione del ghetto, e con una ribellione soffocata nel sangue. Eppure, anche in mezzo al periodo più buio c'era ancora spazio per il calore umano, per le piccole speranze di ogni giorno.
Da un punto di vista storico, ho apprezzato questo libro per il modo in cui riesce a rendere l'atmosfera opprimente ed il senso di disperazione del ghetto, pur senza soffermarsi troppo sulle descrizioni. Alcune scene risultano particolarmente potenti, come la descrizione dell'orfanotrofio e dell'ospedale dei bambini, pubblico innocente e condannato che riesce a trovare un po' di felicità in quei burattini. A questo proposito, è interessante notare come oltre ai personaggi del romanzo trovino posto anche figure storiche come Janusz Korczak, eroico direttore di quell'orfanotrofio.
Per quanto riguarda la trama, lo svolgimento è decisamente veloce. Inizia nel presente, quando Mika ormai anziano estrae quel cappotto relegato sul fondo di un armadio per mostrarlo al nipote e per raccontarli finalmente cosa è davvero successo tanti anni prima, e poi passa a quel racconto, seguendo il protagonista negli anni del ghetto, dalla morte del nonno per essersi opposto ai soprusi dei soldati nazisti, alla fine del ghetto e della sua giovinezza. Poi torniamo al presente, e poi ancora al passato, seguendo uno dei burattini di Mika, il Principe, che era finito tra le mani di un soldato nazista, Max, lo stesso che aveva portato gli spettacoli del piccolo burattinaio alla caserma degli occupanti. Il Principe segue Max nei campi di prigionia siberiani, e da lì, in una lunga avventura, torna infine tra le mani del suo primo padroncino e tra le tasche del cappotto da cui la storia è cominciata, chiudendo dopo decenni un circolo di orrore e di speranza.
Forse proprio quest'ultima parte è quella che mi ha convinto a parlare di questo libro, per il modo in cui non si limita, dopotutto, ad un punto di vista, ma segue anche "l'altra parte", mostrando quel dopoguerra che per molti soldati tedeschi fu solo l'inizio di un altro incubo, ed i sensi di colpa che accompagnano i sopravvissuti.
Mika è un ragazzino costretto a crescere in fretta, al riparo del suo cappotto troppo grande. Trascinato dagli eventi, trova il coraggio di fare la sua parte, riuscendo a portare un po' di felicità ed anche aiuti più concreti all'interno del ghetto. La sua crescita si svolge anche sul piano sentimentale grazie alla cugina Ellie, un sentimento effimero a cui aggrapparsi, per quanto possibile, nell'orrore che li travolge.
Insomma, questo libro mi è piaciuto e mi ha commosso. Forse avrei voluto che durasse di più, che si soffermasse di più su alcune storie che meritavano di essere approfondite meglio invece di inseguire quel cappotto saltando mesi ed anni, ma a parte questo è un romanzo affascinante e storicamente accurato, che consiglio vivamente.
Nessun commento:
Posta un commento
Mi fa molto piacere ricevere opinioni su quello che scrivo, quindi non siate timidi, lasciatemi un vostro pensiero! ^_^